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Anche gli assassini

di Simona Cremonini

Racconto pubblicato sulla rivista FaraNews numero 49-50 di gennaio-febbraio 2004, disponibile qui

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Avresti dovuto fare qualcosa appena uscita dalla casa di Roberta… Che stupida sei stata!

Avresti dovuto fare retromarcia e suonare il suo citofono. Avresti dovuto dirle che qualcosa non andava e andare di sopra, a casa sua, al sicuro. Invece no, stupida testarda! Anche dopo aver girato due volte, anche dopo aver visto la sua ombra, quel riflesso tenebroso, ritrarsi nel buio, non sei tornata indietro, hai voluto proseguire!

Appena uscita dal condominio della tua amica, hai notato qualcosa di scuro oltre i due garage a fianco dell’ingresso. Non sapevi se si trattava di un cassonetto o di qualcos’altro, eppure ti sei sentita subito inquieta. Hai camminato per qualche metro per non pensarci, poi hai svoltato in un’altra via, più piccola e più interna.

Ti sei voltata indietro, per controllare, e hai deviato di nuovo, per percorrere un tratto del lungo viale Manzoni. Hai sbirciato di nuovo dietro di te, e proprio in quel momento l’ombra è spuntata da dietro quel palazzo e si è ritratta, come accorgendosi di essere in vista.

Avresti dovuto tornare indietro, tagliare in altre vie del quartiere e citofonare a Roberta, ma invece hai accelerato.

E pensare che non avresti dovuto nemmeno uscire stasera, visto che la tua automobile è dal meccanico; ma purtroppo proprio un mese fa Roberta e Francesco hanno rotto e non te la sei sentita di lasciarla sola, sapendo che lei ne soffre tantissimo. Così sei andata a piedi fino a casa sua…

E ora?

Ora cammini, accelerando, poi decelerando, fingendo, sperando che i passi che senti non siano i suoi, ma i rintocchi dei tuoi tacchi sull’asfalto.

Eppure lo sapevi che era imprudente uscire soli nella tua città di notte.

Era sconsigliato dalla polizia, che ancora non è riuscita a catturare l’assassino soprannominato Capitan Uncino, per quel modo grezzo e affrettato di sgozzare le sue vittime con un oggetto appuntito, come un uncino appunto.

Continui a camminare.

Ti chiedi se non stai esagerando; per un’ombra intravista nella notte ti sembra già di vedere i tuoi amici, i tuoi genitori, i tuoi zii che piangono per la tua morte!

Ti senti un po’ ridicola, ma se la tua fantasia è troppo sfrenata, perché non riesci a fermarti, perché non riesci a voltarti e guardare la strada che ormai dovrebbe mostrare chiaramente se uno sconosciuto ti sta seguendo?

Lo sai il perché.

Perché è vicino.

Perché è sempre più vicino.

L’eco dei passi si avvicina.

Non sai se l’asfalto possa fare rumori diversi tratto dopo tratto, magari per una diversa consistenza, magari per una diversa distribuzione degli strati sottostanti, ma non te la senti di controllare. Il tuo cervello non è minimamente interessato a questa informazione scientifica.

Hai paura. Le tue gambe sono come percorse da un liquido diverso

(adrenalina),

che è sale per il tuo sangue, che è collagene per i tuoi movimenti, sempre più legati, sempre più lenti.

Poi la vedi. È un insegna bianca, con una scritta rossa. C’è un simbolo, simile a una forcina, con tante piccole gambe. E pensi…

Pensi che è necessaria una tessera per entrare, e tu hai quella tessera!

Semplice, apri la borsetta, mentre le gambe sembrano di nuovo in forza e hai l’impressione di camminare più in fretta.

Apri la cerniera all’interno della borsetta e sfili il portafoglio.

Anche se è buio, guardi appena l’asfalto scuro che scorre sotto i tuoi piedi.

Fai schioccare il bottone che è sopra il portafoglio e nel buio tasti le fessure predisposte per infilare le tessere. È la terza fessura quella che ti interessa.

Nel frattempo il simbolo rosso è sempre più vicino.

Di nuovo cammini con foga.

I polpastrelli avvertono la plastica liscia sotto di loro e allora, con delicatezza e con decisione, le tue dita la sfilano.

La porta nel frattempo è ormai davanti a te.

Tendi la mano e infili la tessera con la banda metallica verso l’alto, sulla sinistra, come sul disegno che hai di fronte e che mille volte hai controllato su porte simili.

La porta scatta, la tiri, entri nell’ambiente angusto e vetrato e la richiudi dietro di te, velocemente. Ti assicuri che sia veramente chiusa.

Fuori è buio, ma sul marciapiede si riconosce una sagoma umana.

Alla sua destra qualcosa di metallico riluce sotto la luce bianca dell’insegna appesa sopra la porta, esposta di traverso perché sia visibile dalla strada.

Dall’altra parte, vedi che una mano sta frugando nel buio. Fruga e infine trova.

Trova una piccola tessera, simile alla tua.

Anche gli assassini hanno un bancomat.