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Un caso facile

di Simona Cremonini 

Racconto partecipante a “Turno di Notte 2016”, scritto presso la Libreria Bacco – Cantina Marsadri di Puegnago sul Garda

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Incipit (Carlo Lucarelli):

C’era una mosca che continuava a volargli attorno alla testa, fastidiosa, e appena poteva gli si posava calda e ronzante sul volto, sulla fronte, su una guancia, sotto la bocca. Lui la scacciava con un gesto veloce della mano, ma lei ritornava sempre, sempre calda, ronzante e fastidiosa. Con l’afa di quella notte, che si schiacciava sotto al portico, e con quel corpo steso a terra, proprio vicino ai suoi piedi, c’era da stupirsi che ce ne fosse soltanto una.

Però era meglio così. Cristian preferiva sentirsela addosso, immaginare che si fosse posata su cose immonde e che ora appiccicasse una traccia schifosa e invisibile alla sua stessa pelle, piuttosto di saperla sopra a quel…

“Cadavere” disse a voce alta, roca, rotta dall’emozione e dalla gola riarsa dal caldo umido di quella sera. Aveva bisogno di mettere assieme a parole ciò che il suo cuore, invece, non poteva proprio accettare.

“Damiano…” aggiunse, come a voler spiegare a se stesso ciò che era successo. Fece spallucce, mentre la maglietta non accennava a staccarsi dalla sua pelle bagnata di sudore, e la mosca per l’ennesima volta cambiò posizione quasi assordandolo, appoggiandosi su un sopracciglio e poi sulla gota destra.

Il suo collega, che Cristian aveva preso a chiamare “Panzerottino” per via della pancia ultimamente un po’ troppo pronunciata, ora giaceva a terra immobile.

Cristian lasciò che la mosca si fermasse sulla guancia per un po’, senza più ribellarsi alle sue bizze ronzanti: non voleva immaginare che essa potesse spostarsi su quella dell’altro, l’amico di ogni giorno, che non avrebbe più mosso un muscolo per mandarla via.

Fissava il corpo da qualche minuto, o forse addirittura da mezz’ora. Avrebbe dovuto dare l’allarme, chiamare il magistrato e far disporre i rilievi del caso, ma quelle circostanze non erano per lui un momento qualunque o l’ennesima tragedia umana a cui, da carabiniere, si trovava davanti ogni giorno e che era preparato ad affrontare. E, anche se l’uniforme che portava quotidianamente avrebbe richiesto fermezza e rispetto delle procedure, la morte del suo compagno di pattuglia, della persona di cui si fidava di più, e del suo amico più caro, era una situazione talmente straordinaria da sovvertire alcune di quelle regole che aveva sempre amato rispettare.

Le sue regole… Damiano lo prendeva sempre in giro per la sua severità, diceva che Cristian avrebbe dovuto smettere di portare uniformi diverse in ogni momento della sua vita e della sua giornata, lasciarsi andare e, ogni tanto, comportarsi come uno della sua età, invece di continuare ad alternare le sue rigide personalità: il cattolico, il responsabile dell’ordine pubblico, il ragazzo zelante sempre disponibile per le attività di volontariato. Eppure, quando aveva avuto bisogno di confidarsi, e di parlare di quanto stava combinando con quella donna, Damiano non aveva avuto dubbi e lo aveva fatto con Cristian.

Perché i suoi dogmi potevano sì apparire noiosi, ma in definitiva lui stava percorrendo la via corretta. E gli altri, anche se spesso non volevano ammetterlo, lo sapevano benissimo.

Cristian si chinò di nuovo verso la massa che era stato il suo amico e che, quel pomeriggio, in caserma, senza saperlo aveva salutato per l’ultima volta di persona.

La mosca lo seguì in basso, ronzandogli attorno alla testa per poi accomodarsi sulla sua spalla, silenziosa fino al movimento seguente.

Senza toccare né spostare il cadavere, Cristian cercò di guardare di nuovo ciò che aveva davanti e di ricostruire mentalmente ciò che era avvenuto.

Doveva averlo colpito un unico sparo e Damiano doveva essere morto sul colpo.

C’era pochissimo sangue, lì sotto il portico: Cristian poteva solo fare supposizioni, dato che la ferita era sotto il corpo, ma se ci fosse stata una forte emorragia i pantaloni leggeri e la t-shirt che il suo compagno di pattuglia indossava non sarebbero stati sufficienti ad assorbirla e a tamponare, o addirittura nascondere, tutte le perdite ematiche. Dopotutto, fu un sollievo sapere che la fine fosse stata istantanea e senza sofferenze.

Ricordando a se stesso che non doveva indugiare oltre e doveva decidersi a contattare il magistrato, Cristian si concentrò per portare avanti ciò che sapeva di dover fare. Osservò l’amico, cercando di non perdersi nell’affetto che li legava, e stabilì che avrebbe dovuto guardare nel portafoglio. Sì, era stato da lì che, quando ne avevano parlato, Damiano aveva tentato di estrarre una foto e mostrargliela, mentre Cristian aveva alzato le mani replicando che non gli interessava molto vederla. Pensava che l’amico stesse facendo qualcosa di terribile e tanto avrebbe voluto poter pregare con lui e per lui per quanto stava succedendo con quella donna.

Damiano diceva che la donna era bellissima e Cristian non dubitava che fosse vero. Solo, era difficile immaginarla così irresistibile, adesso, oltre quella soglia.

Chissà se anche là dentro, oltre il portico, nella cucina, c’era un solo insetto a ronzare.

Come se fosse gelosa del suo pensiero, la mosca si mosse e per un paio di volte planò dalla spalla tutto attorno a Cristian, con quel fastidioso ronzio. Non voleva colpirla, perché non voleva che si stufasse di lui e che prendesse di mira l’amico, così si limitò a prendere atto dello spostamento e attese che smettesse di tormentarlo, almeno per qualche istante. La mosca gli si posò sulla testa e il carabiniere pensò che fosse davvero ora di sfilare quel borsellino. Indugiò ancora, si domandò se avrebbe dovuto controllare meglio oltre la porta che, quando era giunto sul posto, aveva inavvertitamente fatto sbattere e che, chiudendosi, aveva lasciato fuori lui, il suo amico e la mosca: la tragedia si era già consumata e lui non era tornato dentro, né era andato così vicino per verificare oltre ogni ragionevole dubbio che la donna non fosse stata semplicemente ferita. Aveva dato per scontato che fosse morta e non aveva controllato.

D’altronde, dopo averle sparato, di certo lo aveva fatto il marito, prima di suicidarsi.

La casa circondata dalle vigne dell’azienda agricola era isolata e difficilmente un vicino a quelle distanze avrebbe sentito granché. Inoltre, mentre il colpo che aveva ucciso Damiano poteva essere rimbombato un po’ all’esterno, la donna e il consorte erano morti dentro all’abitazione, e così fuori doveva essersi sentito poco e niente.

Cristian era arrivato fin lì per via della telefonata di Damiano. Il collega lo aveva chiamato dopo la fine del turno perché stava succedendo qualcosa in quella casa e voleva una mano. Probabilmente non aveva preso nemmeno lontanamente in considerazione l’idea che gli avvenimenti di quella sera potessero degenerare fino a quel punto.

Era arrivato il momento, Cristian tastò le tasche posteriori dei pantaloni e tolse il portafoglio, come Damiano avrebbe di certo desiderato se avesse saputo a quale destino sarebbe andato incontro.

Aprendo i diversi scomparti, Cristian trovò varie fotografie: lasciò dov’erano quelle più vecchie, quelle che ritraevano l’amico ancora bambino con i genitori e la sorella, nonché la foto di Damiano con i nipoti, mentre finalmente ebbe in mano l’immagine più recente che il collega aveva voluto tenere con sé. Indugiò a guardarla e per un istante notò quanto l’amico avesse ragione: la donna era davvero splendida. In quel momento, quasi a richiamarlo alle sue regole che stava infrangendo con quel furto, e soprattutto osservando l’oggetto del peccato del suo amico, la mosca tornò a muoversi e gli si posò sulla bocca. Cristian scosse la testa per farla andare via e così perse di vista il soggetto della fotografia. Fu sufficiente per tornare in sé. Poi, discretamente, nella tasca dell’amico inserì di nuovo quanto aveva sottratto, dove sarebbe rimasto fino al nulla osta del magistrato per restituire alla famiglia gli effetti personali.

Di fronte all’ennesimo caso di omicidio/suicidio non ci sarebbero state difficoltà ad archiviare presto il caso; se, però, addosso al primo agente giunto sul posto fosse stata trovata la foto di una delle vittime, questo dettaglio non sarebbe passato inosservato, e Damiano non avrebbe voluto mettere i suoi cari nell’imbarazzo dello scandalo che sarebbe scoppiato. Certo, forse non avrebbe mai immaginato che proprio Cristian avrebbe rotto le regole per evitarlo.

Quando il magistrato arrivò alla casa dove si erano consumati i due delitti e il suicidio finale, non ebbe dubbi nel definire la dinamica di quella tragica serata: il carabiniere doveva essere giunto sul posto al culmine della lite domestica e ne aveva pagato anche lui le conseguenze più dure.

Era un caso facile, confessò a Cristian raccogliendone la testimonianza… peccato solo per quella mosca ronzante e fastidiosa che non voleva saperne di lasciare stare i Ris e chi stava lavorando ai rilievi sul luogo del delitto.

Damiano e Cristian sono personaggi tratti dal romanzo “Il Sigillo di Sarca” di Simona Cremonini.  Per info sul libro cliccare qui.